La stecca prealpina - Giorno n.11

Al Fontanèl di Sant’Alberto, si diceva che nascessero i bambini. Una pozza d’acqua, un racconto bisbigliato attorno al fuoco e il bimbo aveva capito tutto a proposito di educazione sessuale. Queste erano le tradizioni di un tempo, cicogne sui tetti di casa nostra. Stessa cosa alla Busa Scalona, dove la vecchia strega consegnava alle donne i bambini avvolti in foglie di zucca. Due racconti diversi della pedemontana trevigiana, stesso obbiettivo. Ma torniamo a Sant’Alberto. Si trova aggrappato sui ripidi pendii boscosi sopra Santo Stefano di Valdobbiadene, a un tiro di schioppo dal Cartizze. Si raggiunge a piedi tramite la Strada de le Musse che porta ai pascoli di Pian di Farnè, sul Monte Cesen ed oggi tale sentiero è una ottima proposta escursionistica. Antico luogo di culto e di pellegrinaggio, soprattutto nel periodo estivo quando si invocava la pioggia in tempi di siccità, è citato in documenti del 1488 quando fu vietata la celebrazione della Santa Messa da parte del Vescovo Barozzi a causa della sua profanazione per essere stato utilizzato come stalla. In epoca successiva furono eseguiti dei lavori di ricondizionamento, prima nel 1658 e più tardi nel 1706 ad opera dell’eremita Fra Giuseppe Pilla che visse a lungo nell’annessa casa degli eremiti. E qui volle essere sepolto. Deve avere avuto davvero un brutto carattere costui, prova ne sia la sua lapide posta all’ingresso della chiesetta, da lui stesso scolpita, che recita: “Non cercar di saper il mio nome quello che preparò per sé stesso e pei successori il sepolcro. Sprezzo e mondo e nome”. La casa degli eremiti funzionò fino agli anni Cinquanta quando venne a mancare l’ultima eremita, la Néta.

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