La stecca prealpina - Giorno n.51

Quando si pensa all’alpinismo classico, vengono in mente personaggi straordinari, nomi come Walter Bonatti, Paul Preuss, Emilio Comici, Lino Lacedelli, uomini prima che eroi. Tra questi illustri rocciatori, va senz’altro ricordato Vittorio Cesa De Marchi. Non molti lo conoscono perché volle star lontano da quei riflettori che gli avrebbero potuto dare maggiore notorietà. Semplicemente amava la montagna. Nato a Stevenà nel 1895, giusto al confine con le Prealpi Trevigiane orientali, proveniva da famiglia benestante. Il primo approccio con i monti avvenne da giovanissimo, sul Col Alt sopra il suo paese natale. Ad appena sedici anni conquistò la Cima Manera, il Cimon dei Furlani e la Palantina in Alpago ed in seguito raggiunse molte vette delle Dolomiti dove compì grandi ascensioni tanto da diventare accademico del CAI a soli 26 anni. Imprese alpinistiche portate a termine anche in Piemonte, terra in cui perfezionò il suo percorso scolastico che gli consentì di diventare prima docente e poi preside. Ebbe un certo successo anche come poeta, attraverso lo pseudonimo di Iorio Del Monte. Vittorio Cesa De Marchi emulò in qualche modo la visione nazionalista dell’epoca, che favorì l’interpretazione dell’alpinismo come attestazione di coraggio e supremazia, più di mille imprese tutte minuziosamente documentate attraverso relazioni e disegni manoscritti ancora oggi ben conservati dai figli. Scalate spesso completate come prima assoluta nonostante la menomazione alla mano destra causata dallo scoppio di una granata che lo costrinse «a non salire oltre il quinto grado inferiore». Fu una vita straordinaria quella di Vittorio Cesa De Marchi, che seppe superare le pareti più estreme così come riuscì a vincere le difficoltà della guerra. Scomparve il 2 gennaio 1967 a Torino ed oggi riposa nella tomba di famiglia a Stevenà. Ci lascia il ricordo di uomo alpinista autentico, in sostanza un signore dei monti.

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